Una produzione poco “Onorevole”
19 febbraio 2019
Sarà bene chiarire. Il sottoscritto ha rispetto per chi (il popolo) ha deciso di farsi rappresentare al parlamento. Quindi nulla da eccepire. Quello di poter criticare, ci è però concesso dalla nostra Carta costituzionale. Non sono felice di farlo, in prossimità della festa della donna che si celebrerà il prossimo 8 di marzo. Ma quando assisto, e ho assistito in passato, alle performance di due nostre parlamentari, non ce la faccio a tacere.
Che l’onorevole leghista Antonietta Giacometti si batta perché una canzoncina su tre, trasmesse dalle nostre emittenti televisive o radiofoniche, sia italiana, mi fa letteralmente compassione (ci stiamo avvicinando anche alla Santa Pasqua, all’orto degli Ulivi, sic!). Avrei apprezzato se la stessa percentuale, che si vorrebbe approvare per legge, riguardasse la porzione richiesta di “parlamentari intelligenti”. Se, cioè, fossero uno su tre, significherebbe risiedere in una nazione progredita e ricca. Purtroppo così non è. Se in un anno, questa è l’autorevole produzione della nostra unica parlamentare, stiamo freschi (ho saputo che si sarebbe “risentita” dopo aver letto che avevo scritto che risiedeva in provincia di Ferrara, esattamente a Comacchio. Che sia allergica alla verità?).
Altra simpatica, e lo affermo senza ironia, è l’ex onorevole e poi senatrice Emanuela Munerato. Dieci anni tra le poltrone vellutate romane, cinque alla Camera e cinque al Senato. Un salto stratosferico dai turni di fabbrica cui era sottoposta, non c’è che dire. Ma la “produzione” decennale, personale, dov’é? Mi sarà sfuggita? L’unico ricordo, che mi ha procurato disagio, in quanto polesano (ma sono particolare) è quando l’hanno catapultata – allora era ancora leghista – vestita da operaia, col cappellino sulle “ventitré”, col compito di leggere la letterina “… mi spoglio dei panni di deputata e indosso i panni di lavoro che indossavo con dignità prima di entrare in parlamento…”. Era l’epoca del governo Monti. Ha fatto in tempo ad assistere ai vari Letta, Renzi e Gentiloni. Cambiando anche la casacca, fornita dalla sartoria “Tosi” di Verona. Ma, dopo quell’attimo fuggente, da prima pagina del “Corriere”, il nulla.
Oramai la tecnologia ha fatto e sta facendo passi ragguardevoli. Perché, dunque, non dotare i nostri rappresentanti al parlamento di una tesserino, tipo bancomat, in modo che producano il voto stando a casa, in fabbrica, in ufficio? Non facciamo gli ipocriti: sappiamo benissimo che i leghisti votano quello che gli ordina Salvini, gli stellati Di Maio e i piddini, questo è oggi più complicato. Quindi, questo “impegno”, lo possono benissimo svolgere dal nostro territorio. Sarebbe bene non dimenticarselo. Perché quando si approda nella capitale, dove recuperi sette otto gradi di temperatura e hai al cospetto una città infetta da decenni, è più facile contagiarsi che purificarsi.
Roberto Magaraggia
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