Oh no, su Rossini non si può
“Chi ha deciso di fare del male non fatica a trovare un pretesto” diceva Aristotele. Che poi la stupidità umana voglia superarsi è questione di dettagli. Basti seguire le cronache televisive sul conflitto Russia-Ucraina per trovare conferma. Dove hanno tirato in mezzo anche i gatti. Rossini compreso? Da non confondersi con l’itinerante consigliere comunale, ma il micio adottato dalla città e promosso a mascotte, cui i rodigini danno del tu, anche se sarebbe corretto evitarlo, visto che ci si rivolge a un aristocratico. Il dilemma è la sua genealogia. Che deve escludere parentele “russe”. Perché, se così non fosse, la questione diverrebbe scottante, dopo che la Federazione Felina Internazionale ha messo al bando i suoi “fratelli” le cui radici affondano nella patria dello czar Putin. Certo è che prendersela con queste altère creature del regno animale, di cui noi facciamo parte, significa dimostrare di essere imbecilli oltre che idioti. Per noi veneti, poi, discendenti dalla grande Serenissima Repubblica del Leone che ha dato vita all’imposta sui redditi, le finanze e i prestiti pubblici, gli occhiali da vista, le costruzioni antisismiche, il turismo e, in particolare, quello sessuale, è inconcepibile. Basti pensare che nel XVII e XVIII secolo in laguna esercitavano le cortigiane più celebri, esperte, appetitose e forse più care d’Europa. Allora la tolleranza era di casa tra canali e calli. E si distinse per non aver mai perseguitato nessuna comunità etnica o religiosa, condannato o giustiziato per eresia o ospitato un Tribunale dell’Inquisizione e dove nessuna strega fu consegnata al carnefice. Anche il gatto non fu valutato espressione del demonio, tanto che tra veneziani e comunità feline fu stipulato un patto segreto. I quattro zampe erano considerati fra gli alleati più fedeli: li aiutavano a combattere la peste dando la caccia ai topi che ne erano portatori. Ci fu però un momento in cui i ratti si erano moltiplicati in modo esponenziale. Allora, i grandi commercianti e navigatori, decisero di importare dal vicino Oriente una razza più combattiva, i soriani. Così, in poco tempo, si fece pulizia dei sorci nella città più bella del mondo. In quel periodo nacque comunque una superstizione, legata all’ignoranza. Chi passeggiando incrociava un gatto che gli attraversava la strada era colpito da sfortuna. Scaramanzia che derivava dal fatto che, quando le navi dei turchi giungevano in città, si aprivano i portelloni liberando miriadi di gatti che fungevano da guardiani delle stive contro i topi. I veneziani, vedendoli sfrecciare fra le calli li collegavano alla sventura, alle atrocità. Erano arrivati i barbari. Oggi, a Venezia, queste comunità di felini osservano dall’alto dei ponti, delle altane, dei tetti e delle terrazze i piccioni, e le volgarità turistiche. Mentre il nostro Rossini, in una addormentata Rovigheto, spadroneggia miagolando in cerca di micine. Non dovrebbe correre più pericoli, dopo lo sventato tentativo di portare l’esercito sovietico in città, invocato dall’ex sindaco Bergamin. Un aneddoto richiama anche il celebre Rossini, il compositore Gioacchino. Da giovane sciupa femmine, a Padova stazionò di notte davanti casa di una signora, desideroso di entrare. Prima però di aprirgli la porta, la dama lo costrinse a giocare al gatto e a miagolare fino alle tre di notte. Infine l’uscio si aprì. E la sinfonia ebbe inizio.