Il garofano è anche un fiore
- 6 giugno 2022
- La nostra vita ha due certezze, il passato e il presente. Cosa ci riserverà il futuro è l’interrogativo cui nessuno può rispondere con certezza. Per questo rivolgo la mia attenzione a ciò che è accaduto, ponendomi nella veste di retroguardia. Poco tempo fa, a Genova, il Partito Socialista Italiano ha celebrato il 130mo anniversario dalla nascita. Se penso che “il partito dei lavoratori”, col trascorrere dei decenni, si è quasi liquefatto e spappolato in decine tra scissioni e sigle, rimango sconcertato. Se poi considero che nelle votazioni del 1920, in Polesine, i socialisti conquistarono la Provincia e tutti, ripeto tutti, i 63 comuni. Tanto da imporci il marchio della “Provincia più rossa d’Italia”. L’anno dopo vi fu però la prima scissione, e nacque il Partito Comunista. Cui, a stretto giro, segui il Fascismo. Rileggendo questi accadimenti, si incontrano una carrellata di nomi e personaggi che rappresentavano questa “Mesopotamia” tra Po e Adige agli inizi del Novecento. Che, se rapportati a quelli dei giorni nostri, fanno venire i sudori freddi. Severino Bolognesi, Severino Cavazzini, Giuseppe Galasso, Giancarlo Morelli, Giacomo Matteotti, Umberto Merlin, Giovanni Marinelli. Ma anche Nicola Badaloni, Lina Merlin, Dante Gallani e Vincenzo Casalini. Che trovarono nei giornali di riferimento dell’epoca gli strumenti in grado di diradare la nebbia che esisteva tra le istituzioni e i cittadini, in grandissima parte appartenenti al mondo bracciantile. Pubblicazioni come la Lotta, Il Corriere del Polesine, La Legittima Difesa, La Settimana costituivano i loro megafoni. Erano, come sosteneva Alexis de Tocqueville, le armi impiegate dai partiti e associazioni per riuscire a comunicare. Almeno per chi sapeva leggere e scrivere. Per tutti gli altri ci pensavano Le Leghe e le Camere del Lavoro o le parrocchie a fungere da catena di trasmissione. I giornali di allora non usavano mezze parole per comunicare ciò che si pensava e voleva. Non come è di moda oggi, dove i vari politici voltagabbana, da un giorno all’altro, si rimangiano impegni, parola e giuramenti. Il 15 maggio del 1920, su La Lotta, per citare un esempio, la cui redazione era nella Camera Del Lavoro in via Macello a Rovigheto, si leggeva: Titolo: Il Conflitto Agricolo di Loreo. “Dopo tre giorni di trattative con i rappresentanti dell’Agraria queste venivano rotte. L’accordo era quasi raggiunto tanto per i salariati quanto per gli obbligati, …avevano ridotto le loro richieste per le compartecipazioni….i lavoratori come ultima richiesta chiedevano lire 1,90 l’ora con l’impiego di un uomo ogni 5 ettari, gli agrari invece offrivano una tariffa media di 1,75 con l’impiego di un uomo ogni sei ettari….successivi incontri non approdarono a proficui risultati…”. Quindi: SCIOPERO!!! Oggi, partiti e rappresentanze sindacali sono cambiati. Perché sono gli esseri umani ad aver smarrito la direttrice del vivere. E le comunicazioni di massa altro non hanno fatto che accelerare la velocità e conoscenza di vizi, difetti e virtù insite nell’uomo. Senza voler addentrarmi nei particolari credo che il crollo della Sinistra si possa imputare nell’aver smarrito i principi fondanti quali egualitarismo, redistribuzione della ricchezza, politiche economiche e sociali egualitarie, relativismo culturale attraverso il tentativo di plasmare la natura umana attraverso l’educazione, il decadimento religioso divenuto “moralizzante” e il collettivismo tout court. Così i deboli, gli indifesi, gli operai sono stati accantonati, e abbandonati. Come la presenza attiva del partito nelle frazioni, i piccoli comuni o periferie delle città. Dove lo Stato non è più un principio, un’idea per cui battersi, ma è divenuto una consorteria occupata da politicanti e sindacalisti interessati più alle loro carriere che al popolo. Dove si approva, si aderisce e accetta ogni sorta di compromessi, pur di mantenere i privilegi conquistati. I rappresentanti della sinistra mirano e pensano ai loro vantaggi economici e sociali portando la classe operaia e impiegatizia a divenire tollerante, costretta per necessità (bollette, acqua, luce, gas, affitto, famiglia da mantenere) ad accettare il meno peggio, tra scetticismo e rassegnazione. Abbandonati e senza più reazioni, rimasti senza più guida e ideali, senza un’idea precisa in testa, sono divenuti preda di slogan e battute carpite alla televisione tra una pastasciutta e un bicchiere di vino. Sentono parlare di “campo largo”, ma osservano che la sinistra polesana fa scendere nel quadrilatero la stessa vecchia squadra, gli stessi che si battono quando si tratta di occupare lauti incarichi, stipendi e pensioni. Chimeriche per le classi che dicono di rappresentare. Col risultato che quando la Sinistra invade il campo avversario, viene considerata “destra”. In mezzo a questa politica melassa, i superstiti dei socialisti rodigini mantengono ancora aperta la sede in via Mure San Giuseppe. I maligni dicono, sbagliando, che basterebbe una “cabina telefonica” per contenere le riunioni del “triunvirato”, composto da Gianni Nonnato, Gianmario Scaramuzza e Roberto Puggiotto. Comunque la sede c’è, come pure il motto caro a Matteotti: “l’idea che è in me non l’ucciderete mai”. Non è poco, per una provincia scarsa di idee.