Si stava meglio quanto si stava peggio?
20 dicembre 2022
Siamo oramai abituati ad assistere a lunghi periodi di tempo in cui non succede quasi nulla di importante in questa fertilissima lingua di terra tra Po e Adige chiamata “ Mesopotamia “, tanto che pare addormentata in attesa di tempi migliori. Un sonno che però viene interrotto annualmente quando vengono pubblicate le valutazioni sulla qualità della vita delle province e delle città italiane. Classifiche stilate in considerazione di realtà che tengono semplicemente conto degli aspetti possibili, frutto di fredde analisi oggettive. E dove Rovigheto risulta inserita negli ultimi posti. Quindi non degna di nota. Questo succede nel terzo millennio, epoca che non ci permette più di rifugiarci, come anni fa, nei valori presenti nel cattolicesimo che era il perno della nostra vita quotidiana. In cui le probabilità evangeliche “… chi ha fame sarà sfamato … beati gli ultimi che saranno primi…” costituivano se non altro delle speranze. Oggi cancellate dai nuovi ideali che hanno surclassato onesta’, correttezza, sacrificio, competenza, famiglia con i gettonati soldi, reddito procapite, consumismo e qualità della vita. Fossimo risultati almeno ultimi nella classifica, e quindi in un certo modo insuperabili e degni di nota come i primi. Ma nemmeno questo riusciamo a realizzare fino in fondo, nonostante gli innumerevoli sforzi che questa provincia pare impieghi a tutti i livelli. Probabilmente perché siamo ancorati alla forza muscolare, vincente un tempo che fu, ma da tempo sostituita dall’intelletto. Che apre le porte a una domanda: ma tutta questa quantità di cose materiali cui tendiamo è compatibile con la qualità della vita? Non è che stavamo meglio quando stavamo peggio? E poi, tutta questa conoscenza che ci piove addosso da televisioni, social media eccetera ci porta felicità o infelicita’? Meglio ancora: l’insoddisfazione, la depressione deriva da ciò che possediamo e non come si crede da ciò che desideriamo? Stiamo avvelenando la nostra vita rincorrendo beni inutili e superflui che ci rendono prigionieri del consumismo? Lo aveva già intuito in “Cante D’Adese e Po” quel grande poeta di Gino Piva agli inizi del ‘900. In “ Vecia Cita’ “ scriveva: “…i nostri noni da le face oneste/ con el capelo a quarta e le velade/ de vedarve me par per ‘ste contrade/ puliti e buli e senza tute queste/ porche miserie che ogi ne scavezza/ e ne tien come bestie a la caveza!”.